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INCONTRI CON L'AUTORE
Nati due volte
di Sandro Invidia

Nati due volte

Ho incontrato Giuseppe Pontiggia alla sala Astrolabio di Villasanta, il 9 febbraio scorso.
Lui era reduce da un incontro con una scuola di Forlì, e da un viaggio in macchina da Milano.
Sembrava un po' affannato ed io l'ho immaginato esausto nel tentativo di ottemperare con scrupolo a tutti i suoi impegni. Non era affanno: si trattava, anzi si tratta, di un problema di fonazione, che gli rende faticosa la chiacchiera prolungata. Credo sia una forma di risparmio, quella che attua con atteggiamento fra il desolato e il prudente. Parla poco, dice l'essenziale. Del resto, inutile rammaricarsene. Pontiggia è pur sempre lo scrittore che dell'ossessione della parola ha fatto un mestiere. E l'ossessione non ammette tentativi a vuoto, né sprechi inutili.

L'incontro è stato organizzato dall'assessorato alla Cultura di quell'illuminato comune (mentre altrove si offre la ribalta a comici da avanspettacolo e ballerine, da Villasanta passano scrittori, filosofi, storici, attori e cantanti di fama)
L'occasione: l'ultimo romanzo dell'autore comasco, Nati due volte.
È un libro bello e commovente, dedicato senza affettazione né patetismo all'handicap e alla quotidiana lotta di chi lo vive, da protagonista o comprimario.
Ispirato alla propria personale esperienza di padre di un disabile, Nati due volte sembra l'ennesimo, importante tassello di quell'unico grande libro che con furia e dedizione l'autore va componendo e ricomponendo negli anni. Da La morte in banca, a L'arte della fuga, a Il giocatore invisibile, a La grande sera e giù giù, fino all'opera attuale, sembra infatti di avere a che fare con un unico romanzo in continuo divenire: scritti e riscritti più volte, i suoi libri presentano di continuo personaggi, spesso insegnanti, alle prese con problemi di linea, ossessioni linguistiche, manie scacchistiche, amori adulterini, passioni erudite, desideri di fuga, calde e imbarazzanti presenze materne… difficile non soggiacere alla tentazione di ricercare, qua e là, tracce del vissuto dell'autore. Difficile non confondere la vita e l'arte.
In quest'ultimo romanzo, ad esempio, i richiami alla vicenda esistenziale dello scrittore sembrano addirittura ovvi. Ma Pontiggia smentisce: I miei libri sono stati scritti a una certa distanza di tempo l'uno dall'altro e vi sono confluite le mie esperienze, ma in chiave metaforica, trasferite e trasformate. Se avessi lo scopo di raccontare quello che sono o sono stato non avrei nessuna spinta. Non mi interessa quello che c'è stato nella mia vita, ma quello che ci sarà sulla pagina.
Non mi stupisce, la dichiarazione: non occorre aver letto Il patto autobiografico di Lejeune per sapere che un libro è autobiografico solo quando l'autore e il lettore consentono nel riconoscerlo come tale. È tautologico.
Questo libro non si intitola Autobiografia, né il suo protagonista si chiama Giuseppe. Ciononostante resta un libro vero.
Anzi poetico. Diceva Aristotele che la Poesia è superiore alla Storia perché questa si occupa del particolare, quella dell'universale. Nati due volte è, allora, un libro poetico proprio perché vero, ma di una verità indipendente dalla biografia di Pontiggia. È poetico perché sa dare voce alle paure e alle angosce non di un genitore sfortunato, ma di ogni uomo alle prese con la quotidiana barbarie di questa spietata ed inautentica modernità.

In prima fila, nella sala, una mater dolorosa, figlio disabile al fianco, pone a Pontiggia domande dure: niente letteratura, solo vita.
Guardo il mio foglio di appunti, mentre lo scrittore risponde. Ho trascritto l'inizio del messaggio del padre di una bimba epilettica. Dice così: La descrizione della sua esperienza è stata per me il più bel regalo di Natale. Ha trovato le parole per chiarire anche a me ciò che tuttora sento, ed ho provato, a partire dal primo mese di vita di mia figlia. È solo una delle tante lettere di ringraziamento che si trovano sul sito ufficiale dell'autore www.giuseppepontiggia.net.
Ascolto la pacata serenità con cui Pontiggia risponde alle domande più tremende. Trovo bello che il dibattito prenda anche questa piega. È come la celebrazione della funzione autentica e primigenia della scrittura. La rivendicazione del compito e del ruolo fondamentale che uomini come Pontiggia possono ancora svolgere in un mondo come il nostro.
Scrittore, in fondo, è chi vive l'ossessione della parola, anche per gli altri.

Sandro Invidia
sandro.invidia@arengario.net




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marzo 2001